Attilio Ferraris IV

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«Poi ce sta’ Ferraris a mediano, bravo nazionale e capitano», dice l’inno “La Canzona di Testaccio”, che negli anni ’30 celebra i campioni della Roma.

Figlio di genitori piemontesi (Secondino, per tutti semplicemente Secondo, ed Eurosia Stellina), nati a Sostegno, un paesino in provincia di Biella, Attilio Ferraris viene al mondo, la mattina del 26 marzo 1904 al civico 19 di Borgo Angelico.

“Tilio” viveva in una famiglia dove il football era di casa. Anche gli altri fratelli, che erano più grandi di lui, giocavano. Soprattutto Paolino era bravissimo, quasi quanto Attilio.

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Figlio di genitori piemontesi (Secondino, per tutti semplicemente Secondo, ed Eurosia Stellina), nati a Sostegno, un paesino in provincia di Biella, Attilio Ferraris viene al mondo, la mattina del 26 marzo 1904 al civico 19 di Borgo Angelico.

“Tilio” viveva in una famiglia dove il football era di casa. Anche gli altri fratelli, che erano più grandi di lui, giocavano. Soprattutto Paolino era bravissimo, quasi quanto Attilio.

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Attilio Ferraris è il primo grande capitano della Roma.

Proveniente dalla Fortitudo (una delle società protagoniste della fusione che ha portato alla nascita della AS Roma) di professione centrocampista, è stato protagonista insieme all’amico Fulvio Bernardini della Roma di Campo Testaccio. Quando era ancora minorenne Attilio Ferraris rischiò di andare alla Juventus. Due incaricati della vecchia signora si recarono alla bottega del padre presentando un’offerta di ben ventimila lire (altissima per i tempi) facendo leva sulle origini piemontesi del padre. Per nostra fortuna riportarono a Torino le ventimila lire e Ferraris IV rimase nella squadra della sua città.

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Il 20 marzo 1927, quando è capitano della Fortitudo, si rende protagonista di un episodio forse unico che ne mette in luce il carisma e la sportività, nonostante abbia soltanto 23 anni: all’inizio della ripresa del match di campionato contro il Milan, Ferraris IV caccia dal campo il proprio compagno di squadra Fernando Canestrelli, troppo nervoso e irrequieto. Il capitano della squadra romana preferisce giocare in dieci, piuttosto che avere in formazione un giocatore “fuori giri”. La Fortitudo perde 3-2 e la curiosa circostanza è riportata da più di un giornale dell’epoca: «È necessario far notare – scrive il quotidiano “L’Impero” – che la Fortitudo ha terminato l’incontro in dieci uomini perché Canestrelli, in vena di fare le bizze, è stato, poco dopo iniziato il secondo tempo, giustamente allontanato dal capitano Ferraris. Canestrelli, in una lotta così importante, ha dimostrato di possedere poco senso di responsabilità»

E sembra che da lì fu coniata la frase:

«Chi se ritira dalla lotta è ‘n gran fijo de ‘na mignotta, chi dalla lotta desiste fa ‘na fine molto triste».

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Fu il primo giocatore della Roma a vestire la maglia della Nazionale italiana: esordì il 1º gennaio 1928 a Genova, in occasione di Italia-Svizzera (3-2). Sempre nel 1928 figurò nella squadra vincitrice della medaglia di bronzo ai Giochi olimpici di Amsterdam.

Lui giocava di notte e di giorno. Giocava sempre e a tutto. A calcio. A poker. Al casinò. La partita era la vita. Una volta a Marsiglia prese i dieci franchi che aveva avuto come premio e se li giocò tutti: dopo un’ora ne aveva vinti 510, dopo un’altra stava a zero: «Embè, è annata male».

La sua vita sregolata, ne aveva provocato l’uscita dal giro azzurro e pure dalla sua squadra di club. A sorpresa, quando era già mentalmente e atleticamente un ex giocatore, il Commissario della nazionale Vittorio Pozzo, che ne conosceva le qualità, gli concedette fiducia e lo convocò per il Campionato mondiale 1934 che si sarebbe disputato in Italia. Così, ripescato e rimessosi a nuovo grazie alla feroce applicazione, si presentò al ritiro sul Lago Maggiore in condizioni fisiche smaglianti, diventando uno dei baluardi della squadra azzurra. Schierato nel ruolo di interno destro fu protagonista di una grande prestazione trascinando con la sua carica agonistica i compagni di squadra. Non uscì più dall’undici titolare arrivando fino alla finale di Roma dove si laureò Campione del mondo. Anni dopo lo stesso destino avranno Bruno Conti, Francesco Totti e Daniele De Rossi.

Nel novembre 1934 fu tra i “Leoni di Highbury” più elogiati dalla stampa britannica nella partita del dopo mondiale nello stadio londinese, persa dagli azzurri per 2-3 contro i “maestri inglesi”. A fine primo tempo, con la squadra sotto di 0-3 e in inferiorità numerica per l’infortunio di Monti, Ferraris, con il carisma che gli era consueto, spronò i compagni a tirare fuori la grinta e l’orgoglio. Nella ripresa, insieme a Meazza, trascinò gli azzurri in una rimonta che non si completò per un soffio.

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L’8 maggio 1947, durante un incontro tra vecchie glorie, Attilio Ferraris muore in campo a causa di un infarto. La leggenda dice che prima della gara Ferraris con la sua solita ironia esclamò: “non me fate fà la fine de Caligaris eh! (che ebbe la stessa sfortunata sorte)”. Così a soli 43 anni si spegne il primo capitano e grande giocatore della storia giallorossa.

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